Reincarnazione e
rinascita
Sri Aurobindo
La rinascita
La teoria della
rinascita è antica quasi quanto il pensiero stesso, e la sua origine è
sconosciuta. Noi possiamo, a seconda delle nostre convinzioni pregresse,
accettarla come frutto di una antica esperienza psicologica sempre rinnovabile
e verificabile, e quindi vera, oppure non liquidarla come dogma filosofico e
teoria ingegnosa, ma in entrambi i casi la dottrina, anche se è, con tutta
evidenza, tanto antica quanto il pensiero umano stesso, è suscettibile di
resistere fino a quando l’essere umano continuerà a pensare.
Anticamente la
dottrina era conosciuta in Europa con il grottesco nome di trasmigrazione, che
la associava nella mente occidentale con l’immagine comica dell’anima di
Pitagora che migrava, come uno strano uccello di passo dalla umana forma divina
nel corpo di un porcellino d’India o di un asino.
L’apprezzamento
filosofico della teoria si espresse nell’ammirevole ma difficilmente
padroneggiabile parola greca metempsicosis, che indica il reincarnarsi in un
nuovo corpo da parte di una medesima individualità psichica. La lingua greca
riesce a coniugare sempre felicemente pensiero e parola, e non poteva trovare
un’espressione migliore; ma nella forzata traduzione inglese la parola diventa
semplicemente lunga e pedante e senza serbare niente del suo sottile
significato in greco, per cui deve essere abbandonata.
"Reincarnazione" è adesso il termine comunemente usato, ma la parola
rende un’idea soltanto grossolana o esteriore del fatto, suscitando perciò
molti interrogativi. Io preferisco rebir", poiché il termine rende il senso
del termine sanscrito, ampio e oggettivo, e tuttavia adeguato, punarjanma,
"nascere di nuovo", che ci trasmette soltanto l’idea fondamentale che
è l’essenza e la vita della dottrina.
Rebirth (rinascita) è
per la mente moderna niente più che una speculazione teorica; non è mai stata
provata dalla scienza moderna in modo tale da soddisfare la nuova mente
critica, educata alla cultura scientifica. E d’altro canto non se ne è mai
dimostrata la falsità, poiché la scienza moderna non sa niente di una possibile
vita anteriore o posteriore dell’anima umana; in realtà essa non sa niente
dell’anima né nulla può saperne, poiché i suoi confini sono il corpo, il
cervello, i nervi, l’embrione, la sua formazione e il suo sviluppo.
Né la critica moderna
dispone di alcun apparato tramite il quale la verità o la falsità della
rinascita possa essere stabilita.
In realtà la critica
moderna, con tutte le sue pretese di investigazione scrupolosa e di certezze
affidabili, non è una buona cercatrice della verità. Al di fuori della sfera di
ciò che è immediatamente fisico essa è praticamente impotente: riesce a
scoprire bene i dati, ma solo laddove i dati stessi abbiano già in se stessi la
loro conclusione; non può in nessun modo essere sicura delle generalizzazioni
che, a partire da questi dati, afferma con grande certezza nel corso di una
generazione, per poi rinnegarle in quella successiva. Non può in alcun modo
provare con certezza la verità o la falsità di un’asserzione storica incerta, e
dopo un secolo di dispute non è stata neppure capace di dirci se Gesù sia o no
esistito.
Come potrebbe quindi
trattare un problema come la rinascita che appartiene alla psicologia e deve
essere trattato secondo l’evidenza psicologica piuttosto che quella fisica ? Le prove che di solito
vengono portate dai sostenitori e dagli oppositori sono spesso deboli o
insignificanti; anche quelle più plausibili
sono insufficienti a provare o confutare qualunque cosa. Un argomento spesso
sostenuto in modo vincente nella confutazione è che noi non ricordiamo le
nostre vite passate e quindi non ci sono vite passate. Fa sorridere un tale
ragionamento fatto molto seriamente da chi pensa di essere qualcosa di più di
un bambino intellettuale. L’argomentazione procede su base psicologica e
tuttavia ignora la vera natura della nostra memoria ordinaria o fisica, che è
tutto ciò che l’uomo ordinario può adoperare. Quanto ricordiamo delle nostre
vite presenti, quelle che stiamo senza dubbio vivendo al momento ? La nostra
memoria è di norma buona riguardo agli avvenimenti a noi vicini, ma diventa più
vaga o meno precisa quando comincia ad allontanarsi dall’attualità; se si va
ancora più indietro si ricordano soltanto alcuni punti salienti, infine – per
quanto riguarda l’origine delle nostre vite – si cade in un vuoto assoluto.
Ricordiamo forse anche semplicemente di esser stati dei bambini sul petto di
nostra madre ?
E tuttavia quel
momento dell’infanzia era – non soltanto nelle teorie buddiste – parte della
nostra vita e appartiene allo stesso individuo che non riesce a ricordarlo allo
stesso modo in cui non ricorda le vite passate. Tuttavia noi pretendiamo che
questa memoria fisica – la memoria del rozzo cervello di un uomo che non riesce
a ricordare la sua infanzia e ha perduto così tanto dei suoi primi anni –
ricordi ciò che c’era prima dell’infanzia, prima della nascita, prima che essa
stessa si formasse. E se non ci riesce dobbiamo dire: "la teoria della
reincarnazione si dimostra falsa". La pretenziosa insipienza del nostro comune
ragionamento umano non potrebbe mostrarsi meglio che in questo genere di
argomentazioni. Ovviamente le nostre vite passate, sia come fatto che come
stato o nei loro eventi ed immagini, possono essere ricordati soltanto da una
memoria psichica il cui risveglio va oltre i limiti del fisico e risveglia
impressioni ben diverse da quelle registrate dai movimenti cerebrali fisici
sull’essere fisico.
Anche se avessimo la
prova della memoria fisica delle vite passate o di un tale risveglio psichico,
dubito comunque che la suddetta teoria verrebbe considerata dimostrata. Oggi
noi abbiamo molti di questi esempi sostenuti con sicurezza, sebbene senza
quell’apparato di evidenza verificata e scrupolosamente presa in esame che dà
peso ai risultati della ricerca scientifica; lo scettico li considererà sempre
come mera finzione ed immaginazione, a meno che non siano confermati da una
solida base di evidenza. Persino se i fatti sostenuti fossero dimostrati veri,
c’è la possibilità di affermare che non si tratta davvero di ricordi ma di
fatti noti alla persona che li sostiene tramite semplici mezzi fisici o che gli
sono stati suggeriti da altri e vengono contrabbandati per memorie di
reincarnazione o ingannando consapevolmente gli altri o per via di un
auto–inganno e auto–allucinazione.
Anche supponendo che
l’evidenza fosse troppo forte e non suscettibile di obiezioni, così da non
poter essere sospettata degli inganni suddetti, si potrebbe non accettarla come
prova di reincarnazione, e la mente potrebbe escogitare un centinaio di
spiegazioni teoriche per questi fatti.
Il pensiero e la
ricerca moderna hanno introdotto questo dubbio riguardante tutte le teorie e le
generalizzazioni psichiche.
Sappiamo ad esempio
che riguardo al fenomeno della scrittura automatica o della comunicazione da
parte dei morti si discute se il fenomeno provenga dall’esterno, da menti
disincarnate o dall’interno, dalla coscienza subliminale; o se la comunicazione
sia reale e provenga direttamente dalla personalità disincarnata, o sia il
risalire in superficie di una impressione telepatica che proveniva dalla mente
della persona allora in vita, ma rimasta nel profondo della nostra mente
subliminale. Lo stesso genere di dubbio può essere opposto alle prove della
memoria di reincarnazione. Si potrebbe sostenere che esse dimostrano il potere
di una certa misteriosa facoltà in noi, una coscienza che può avere una
conoscenza inesplicabile di eventi passati, ma che questi eventi potrebbero
appartenere a personalità diverse dalla nostra e che l’attribuzione che ne
facciamo alla nostra personalità in vite passate è una immaginazione,
un’allucinazione o un esempio di quell’auto–appropriazione di cose ed
esperienze percepite ma non nostre, che è uno dei fenomeni comprovati di errore
mentale. Molto potrebbe essere dimostrato dall’abbondanza di tali prove, ma non
per lo scettico e tanto meno a rinascita.
Certamente, se esse
fossero sufficientemente ampie, esatte, dettagliate, precise, creerebbero
un’atmosfera che alla fine condurrebbe ad una generale accettazione della
teoria da parte della specie umana come certezza morale.
Ma la prova è una cosa
diversa.
Dopotutto la maggior
parte delle cose che accettiamo come verità sono in fondo niente più che
certezze morali. Noi abbiamo la ferma convinzione che la terra ruoti sul suo
asse, ma – come è stato sottolineato da un grande matematico francese – la cosa
non è mai stata provata, è soltanto una teoria che spiega certi fenomeni
osservabili, niente di più. Chissà che essa non possa essere sostituita a breve
da una teoria migliore o peggiore ? Tutti i fenomeni astronomici conosciuti
venivano spiegati bene tramite le teorie delle sfere e non so cos’altro, prima
che Galileo venisse fuori con il suo "Eppur si muove…" disturbando
l’infallibilità ......de la scienza e la logica dei dotti. Si può certamente
pensare che altre ammirevoli teorie potrebbero essere inventate per spiegare la
gravitazione se la nostra mente non fosse già pregiudizialmente convinta dalle
precedenti teorie di Newton, questo l’atavico limite della nostra ragione,
poiché essa parte dall’ignoranza, dal non sapere, e ha a che fare con infinite
possibilità: le spiegazioni possibili di ogni fenomeno – finché non sappiamo
permanete cosa sta dietro di esso – sono infinite. In definitiva noi conosciamo
veramente soltanto ciò che osserviamo e anche questo è soggetto ad un dubbio angosciante,
per esempio se il verde sia davvero verde e il bianco davvero bianco, per
quanto sembri che il colore non sia colore, ma qualcos’altro che crea la sua
apparenza. Oltre il fatto osservabile dobbiamo contentarci di una logica
ragionevolmente soddisfacente, probabilità dominante e certezza morale. Almeno
finché non abbiamo il buon senso di osservare che ci sono in noi facoltà più alte della ragione
dipendente dai sensi e che aspettano uno sviluppo per mezzo del quale possiamo
arrivare a certezze più grandi.
Per quanto riguarda la
teoria della rinascita, non possiamo realisticamente sostenere in contrapposizione allo scettico
una tale probabilità dominante o una tale certezza. L’evidenza esterna
disponibile è rudimentale. Pitagora fu uno dei più grandi saggi, ma il suo
asserire di aver combattuto a Troia col nome di Antenoride e di essere stato
ucciso dal figlio più giovane di Atreo è soltanto un’asserzione e il suo
riconoscere lo scudo troiano non convincerà nessuno che non sia già realmente
convinto; le prove odierne non sono in alcun modo convincenti di quella di
Pitagora. In assenza di una prova esteriore, che è la sola definitiva per i
nostri intelletti sensitivi governati dalla materia, abbiamo l’argomentazione
dei reincarnazionisti, i quali sostengono che la loro teoria spiega tutto
meglio di qualunque altra. La pretesa è giusta, ma non dà alcuna certezza. La
teoria della rinascita, associata con quella del karma ci dà una semplice,
simmetrica, bella spiegazione delle cose; ma anche la teoria delle sfere ci
dava una semplice, simmetrica, bella spiegazione dei movimenti celesti.
Tuttavia abbiamo adesso un’altra spiegazione, molto più complessa, molto più
gotica e incerta nella sua simmetria, un ordine inesplicabile che si evolve da
infiniti caotici, che noi accettiamo come la verità delle cose (). E tuttavia,
se vogliamo soltanto pensare, ci renderemo conto forse che anche questa non è l’intera
verità, c’è dietro molto di più che non abbiamo ancora scoperto. E quindi la
semplicità, la simmetria, la bellezza, l’adeguatezza della teoria della
reincarnazione non è garanzia della sua certezza.
Se entriamo nei
dettagli l’incertezza cresce. La rinascita spiega ad esempio il fenomeno del
genio, facoltà innata, e molti altri misteri psicologici. Ma poi arriva la
scienza a spiegare tutto tramite l’ereditarietà – sebbene, come quella della
reincarnazione, anche questa teoria sia soddisfacente soltanto per coloro che
già ci credono. Senza dubbio le pretese della teoria dell’ereditarietà sono state
esagerate in maniera assurda: essa è riuscita a spiegare molto, non tutto della
nostra composizione fisica, del nostro temperamento, delle nostre peculiarità
vitali. Il suo tentativo di spiegare il genio, le facoltà innate e altri fenomeni
psicologici di tipo più alto è un pretenzioso fallimento. Questo può essere
dovuto al fatto che la scienza non conosce nulla di fondamentale circa la
nostra psicologia, non più di quanto gli astronomi primitivi sapessero della costituzione
e delle leggi degli astri, i cui movimenti tuttavia essi osservarono con
sufficiente precisione. Non credo che neanche quando la scienza conoscerà più e
meglio essa sarà in grado di spiegare queste cose tramite l’ereditarietà, ma lo
scienziato potrà sostenere di essere soltanto all’inizio della sua ricerca e
dire che la generalizzazione che ha dato conto di così tante cose potrebbe dar
conto di tutto; e dirà che in ogni caso la sua ipotesi era fondata su prove
dimostrabili più di quanto non lo fosse la teoria della reincarnazione.
Tuttavia, la tesi del
reincarnazionista è sinora una tesi valida e degna di rispetto, sebbene non
definitiva. Ma ce n’è un’altra avanzata con più clamore che mi sembra fare il
paio con il ragionamento opposto dell’assenza di memoria, almeno nella forma in
cui viene di solito avanzato per convincere le menti poco mature. L’argomento
etico, per mezzo del quale si tenta di giustificare le vie di Dio con il mondo
o il modo in cui va il mondo. Si pensa che ci debba essere un governo morale
del mondo, o almeno una qualche ricompensa nel cosmo per la virtù e una qualche
punizione per il peccato. Ma nel nostro incerto e caotico mondo terrestre non
sembra esserci una tale sanzione. Vediamo infatti che il buono è oppresso dalle
miserie mentre il cattivo prospera e non viene miseramente schiacciato alla
fine. Ora questo è intollerabile, è una crudele anomalia che ci induce ad una
riflessione sulla giustizia e la saggezza divine ed è quasi la prova che Dio
non esiste; dobbiamo porvi rimedio e se Dio non c’è dobbiamo avere delle altre ricompense
per la giustizia.
Come sarebbe
confortante se potessimo stabilire chi è buono, e persino quanto – non dovrebbe
infatti essere il Supremo un ragioniere preciso e affidabile? – giudicandolo in
base alla quantità di burro che riesce a mettere nello stomaco, al numero di
rupie che può depositare in banca e alla fortuna che lo assiste. E come sarebbe
confortante anche se potessimo additare il cattivo smascherato e gridargli:
"Tu sei cattivo: se infatti non lo fossi potresti forse, in un mondo
governato da Dio, o almeno dal Bene, essere così miserabile, affamato,
sfortunato, perseguitato dal dolore, non onorato dagli uomini?
La tua cattiveria è dimostrata
dal fatto che sei povero, la giustizia di Dio si compie". Poiché per
fortuna l’intelligenza suprema è più saggia e più nobile dell’infantilismo
dell’uomo, questo è semplicemente impossibile. Ma c’è un altro modo! _
possibile che, se l’uomo buono non è abbastanza fortunato, non possiede
abbastanza burro e rupie, egli potrebbe in realtà essere un cattivo che sconta
le sue pene – ma un cattivo nella sua vita passata che adesso ha preso un nuovo
corso; e se invece un uomo cattivo prospera nel mondo è per via del fatto che è
stato buono in una vita passata, il savio di allora essendosi adesso convertito
al culto del peccato, forse perché aveva sperimentato la vanità temporale della
virtù. Tutto viene spiegato, tutto viene giustificato. Noi soffriamo per i
peccati commessi in un altro corpo, verremo ricompensati in un altro corpo per
le nostre virtù attuali, e così andremo avanti all’infinito. Nessuna meraviglia
che i filosofi abbiano trovato tutto questo assurdo e proposto come rimedio il
liberarsi sia dalla virtù che dal vizio, vedendo come il bene più grande quello
di poter in qualche modo sfuggire ad un mondo così assurdo.
Ovviamente questo
schema delle cose è soltanto una variazione della vecchia concezione della
minaccia e promessa spirituale e materiale, la promessa di un paradiso di gioia
per i buoni e la minaccia di un inferno di fuoco eterno e di torture per i
cattivi. L’idea della Legge che regola il mondo come dispensatrice di
ricompense e punizioni va insieme all’idea dell’essere supremo come giudice,
"padre" e maestro che sempre ricompensa con caramelle i bravi bambini
mentre punisce con la bacchetta quelli cattivi, anche vicino al barbaro e
insipiente sistema di punizione, talvolta selvaggio e sempre degradante,
riguardo alle offese sociali, su cui è fondata una società umana ancora
incapace di trovare e organizzare un sistema più soddisfacente.
L’uomo insiste
continuamente sul rendere Dio a sua immagine, invece di cercare di rendere se
stesso sempre più ad immagine di Dio, e tutte queste idee sono il riflesso del
bambino, del selvaggio, dell’animale che è in noi, che ancora non siamo
riusciti a trasformare o a sviluppare.
Dovremmo meravigliarci
di come queste fantasie infantili siano state riprese da gruppi di
spiritualidad filosoficamente profonde come il Buddismo e l’Induismo, se non
fosse chiaro che gli uomini non si negheranno il vezzo di trasportare i detriti
del loro passato sin nei più profondi pensieri dei loro saggi.
Non c’è dubbio che,
dato il rilievo di queste idee, esse debbano aver avuto la loro utilità
nell’educazione dell’umanità. Forse è vero che il Supremo tratta l’anima
bambina adattandosi al suo infantilismo e le permette di mantenere le sue
immagini corporee di paradiso e inferno per qualche tempo, anche dopo la morte
del copro fisico.
Forse anche queste
idee di dopo–morte e rinascita come occasioni di punizione e ricompensa erano
necessarie perché si adattavano alla nostra animalità semi–mentalizzata. Ma a
un certo punto il sistema cessa di essere efficace: gli uomini credono nel
paradiso e nell’inferno, ma vanno avanti peccando allegramente, affrancati alla
fine dall’indulgenza ..... o
dall’assoluzione
finale........, o dal pentimento sul letto di disincarnazione on da un bagno nel Gange, o da una disincarnazione santa
a Benares: sono questi gli accorgimenti infantili per mezzo dei quali sfuggiamo
al nostro infantilismo.
Alla fine la mente
cresce e mette da parte con disprezzo l’intero armamentario da asilo infantile.
La teoria della rinascita come ricompensa e punizione, in termini un po’ più
elevati e meno crudamente sensazionali, risulta inefficace. Ed è bene che sia
così, poiché è intollerabile che l’uomo con la sua capacità divina continui ad
essere virtuoso ai fini di una ricompensa ed eviti il peccato soltanto per
paura, _ preferibile un forte peccatore ad un virtuoso codardo ed egoista, o a
un meschino patteggiatore con Dio, c’è più divinità in lui, più capacità di
elevazione.
In verità, ha detto
bene la Ghita :
"Anime povere e
misere sono quelle che pensano ed agiscono solo in base a
quello che ne
ricavano". Ed è inconcepibile pretendere di fondare il sistema di questo mondo vasto e maestoso su queste
motivazioni così grette e meschine.
C’è una motivo di
verità in queste teorie? _ solo la ragione del bambino infantile. C’è un’etica,
ma è soltanto l’etica del fango. Il vero fondamento della teoria della
rinascita è l’evoluzione dell’anima, o piuttosto il suo riaffiorare dal velo
della materia e il suo graduale ritrovarsi.
Il Buddismo conteneva
questa verità nella sua teoria del Karma e dell’emersione dal karma, ma non è
riuscito a farla emergere l’Induismo; la conosceva anticamente, ma ha sbagliato
nel formularla. Ora noi siamo nuovamente in grado di riformulare l’antica
verità in un nuovo linguaggio e questo già viene fatto da alcune scuole di
pensiero, sebbene le antiche incrostazioni tendano ancora ad attaccarsi ad una
saggezza più profonda. E se questo graduale riemergere è vero, allora la teoria
della rinascita è una necessità intellettuale, un corollario logicamente inevitabile.
Ma qual è lo scopo di
questa evoluzione ? Non la virtù convenzionale o interessata ed il preciso
conteggio del bene, nella speranza di una ricompensa materiale proporzionata,
ma la crescita continua verso una conoscenza, amore e purezza divine. Queste
cose soltanto sono la virtù reale e questa virtù è la sua stessa ricompensa. L’unica
vera ricompensa degli atti di amore è crescere nella capacità e nella delizia
dell’amore fino all’estasi dell’abbraccio universale dello spirito e della
passione universale; l’unica ricompensa delle opere di giusta Conoscenza è il
crescere all’infinito nella Luce infinita, l’unica ricompensa delle opere di
giusto Potere è essere sempre più il depositario della Forza divina, quella
delle opere pure è di essere sempre più liberi dall’egoismo in una immacolata
vastità, nella quale tutte le cose si
trasformano e si riconciliano nell’eguaglianza divina.
Ricercare altra ricompensa
significa restare legati ad una ignoranza sciocca e infantile e persino il
considerare queste cose come una ricompensa è segno di immaturità e di
imperfezione.
E che cosa dire di
sofferenza e felicità, sfortuna e prosperità ? Esse sono esperienze dell’anima
nel suo addestramento, aiuti, strumenti, mezzi, discipline, prove – la
prosperità è spesso una prova più difficile della sofferenza. In realtà
l’avversità, la sofferenza possono essere considerate più una ricompensa della
virtù che non una punizione del peccato, poiché sono il più grande aiuto e
purificazione dell’anima che cerca di dispiegarsi.
Considerarle
semplicemente come il severo premio di un giudice, l’ira di un regnante
irritato o persino il risultato meccanico del male significa farsi l’opinione
più superficiale possibile dei procedimenti di Dio con l’anima e della legge
che regola l’evoluzione del mondo. E cosa dire della prosperità mondana, della
ricchezza, della progenie, del godimento esteriore di arte, bellezza e potere ?
Buoni se possono essere acquisiti senza perdita per l’anima e goduti soltanto
come il fluire della Grazia e della Gioia divina sulla nostra esistenza
materiale. Ma cerchiamoli dapprima per gli altri o piuttosto per tutti e per
noi stessi solo come parte della condizione universale o come mezzo di
avvicinamento alla perfezione.
L’anima non ha bisogno
delle prove della rinascita più di quanto abbia bisogno di quelle
dell’immortalità. Perché viene un tempo in cui essa è coscientemente immortale,
consapevole di sé nella sua essenza eterna e immutabile. Una volta che questa
realizzazione si è compiuta, tutte le diatribe intellettuali pro o contro
l’immortalità dell’anima cadono come un vano clamore di ignoranza attorno a
verità che sono evidenti e sempre presenti [Tato na vicikitsate = egli più non
discute]. Il vero, dinamico credere nell’immortalità si ha quando essa diventa
per noi non un dogma intellettuale ma un fatto evidente come il fatto fisico
del nostro respiro, senza nessun bisogno di essere dimostrato. Così anche c’è
un momento in cui l’anima diventa consapevole di se stessa nel suo movimento
eterno e mutevole, allora essa è consapevole delle età passate che
costituiscono lo sviluppo attuale del suo movimento, e vede come questo sia
stato preparato in un passato ininterrotto; ricorda qualcosa dei passati stati
dell’anima, degli ambienti, delle particolari forme di attività che hanno
formato il suo modo di essere attuale e sa verso dove si dirige tramite uno
sviluppo in un futuro ininterrotto. Questo è il vero dinamico credere nella
rinascita e anche qui cessa il gioco delle domande intellettuali; la visione e
la memoria dell’anima sono tutto.
Certamente rimane la
domanda riguardante il meccanismo di sviluppo e le leggi della rinascita, nelle
quali l’intelletto, le sue ricerche e le sue generalizzazioni possono ancora
giocare un ruolo. Qui quanto più si pensa e si esperimenta, tanto più
l’ordinaria, semplice, nuda idea della reincarnazione sembra di dubbia
validità. C’è di sicuro una complessità maggiore, una legge che segue un
andamento più difficile, una più complessa armonia delle possibilità
dell’Infinito. Ma questa è una domanda che richiede considerazioni più lunghe
ed ampie, poiché "c’è una legge sottile in esso": Anur hyesha dharmah.
*
La reincarnazione
dello Spirito
Il pensiero umano, per
la maggior parte degli uomini, non è altro che una rozza e cruda accettazione
acritica di idee. La nostra mente è una sentinella sonnolenta e poco attenta
che permette il passaggio a qualunque cosa sembri formulata decentemente o che
abbia un’apparenza plausibile o che borbotti qualcosa che abbia un’apparenza di
familiarità. Ed è specialmente così nelle questioni sottili che si allontanano
dai fatti concreti della nostra vita e del nostro ambiente fisico. Persino
uomini che ragionano con attenzione e acutamente di cose ordinarie e che
considerano la vigilanza rispetto agli errori come un dovere pratico o
intellettuale, si accontentano di sciocchezze inconsistenti quando si ritrovano
su un terreno più alto e più difficile.
Laddove la precisione
ed il pensiero sottile sono più necessari, proprio lì essi sono più impazienti
e non si dedicano al faticoso lavoro richiesto. Gli uomini riescono a
padroneggiare un pensiero sottile a proposito di cose palpabili, ma pensare in
modo sottile di cose sottili è uno sforzo troppo grande per il nostro rozzo
intelletto; così ci accontentiamo di un superficiale colpo di pennello, proprio
come il pittore che scaglia il suo pennello contro la tela perché non riesce ad
ottenere l’effetto desiderato.
Scambiamo lo
scarabocchio che ne risulta per la forma perfetta di una verità. Non sorprende
quindi che gli uomini si accontentino di pensare rozzamente a proposito di una
questione come la rinascita. Quelli che l’accettano la prendono così come gli
viene proposta, come una teoria nuda e cruda o un dogma. L’anima rinasce in un
nuovo corpo – questa asserzione vaga e quasi priva di significato è per loro
sufficiente. Ma che cos’è l’anima ? E che cosa significa rinascita di un’anima?
Bene, significa reincarnazione; l’anima, qualunque cosa essa sia, è venuta
fuori da una struttura corporea e rientra in un’altra. Sembra semplice –
lasciateci dire. Come il Djinn del racconto arabo che viene fuori dalla lampada
e poi ci rientra o forse come il cuscino viene fuori da una fodera e infilato
in un’altra. Oppure l’anima si forma da se stessa un corpo già nel grembo della
madre e poi lo occupa; o ancora si spoglia da un abito di carne e ne indossa un
altro. Ma che cos’è questa cosa che "lascia" un corpo ed
"entra" in un altro? _ un altro, un corpo psichico e una forma sottile
che entra in una forma corporea grossolana, forse il Purusha dell’immagine
antica, non più grande di un pollice, oppure è qualcosa senza forma in sé,
impalpabile, che si incarna nel senso di diventare o prendere una forma
palpabile di carne ed ossa percepibile ai sensi ?
Nella concezione
ordinaria comune non si parla di nascita dell’anima, ma soltanto di nascita di
un nuovo corpo occupato da una vecchia personalità, che non è cambiata dal
momento in cui ha lasciato la sua forma fisica ora disaggregata. _ John
Robinson che è venuto fuori da quella forma corporea che una volta occupava, è
John Robinson che domani o fra alcuni secoli si reincarnerà in un altro corpo e
riprenderà il ciclo delle sue esperienze terrene sotto altro nome e in un altro
luogo Achille rinasce come Alessandro figlio di Filippo il Macedone, vincitore
non di Ettore ma di Dario, in un ambito più vasto con destini più grandi, ma è sempre
Achille, la stessa personalità che è rinata, solo che sono diverse le
circostanze fisiche. _ questo sopravvivere della stessa personalità che attrae
oggi la mente europea nella teoria della reincarnazione. Poiché è difficile per
chi è innamorato della vita accettare l’idea dell’estinzione o dissoluzione
della personalità, di questo composto fisico, nervoso e mentale che chiamiamo
me stesso.
Ed è la promessa della
sua sopravvivenza e della sua ricomparsa fisica ciò che maggiormente attrae.
L’ostacolo che si
frappone all’accettazione di questo è l’ovvia non sopravvivenza del ricordo. La
memoria è l’uomo, dice la psicologia moderna, e a cosa serve che la mia
personalità sopravviva se non ricordo il mio passato, se non sono consapevole
di essere la stessa persona ancora e sempre ? Qual è il senso ? Dove sta la
felicità ? Gli antichi pensatori indiani – non sto parlando della credenza
popolare piuttosto rozza e non rifletteva affatto su questo – ma gli antichi
pensatori buddisti e vedantici consideravano la cosa da un punto di vista molto
differente.
Essi non erano
attaccati alla sopravvivenza della personalità, non davano a questa
sopravvivenza l’alto nome di immortalità; capivano che essendo la personalità
ciò che è, un composto che cambia di continuo, la sopravvivenza di una personalità
identica era un non senso, una contraddizione in termini.
Essi percepivano
invero che c’è una continuità e cercarono di scoprire che cosa determini questa
continuità e se il senso di identità che ne fa parte sia un’illusione o la
rappresentazione di un fatto, di una verità reale; e se è così, quale fosse
questa verità. I Buddisti negarono ogni identità reale. Non c’è – essi dissero
– nessun sé, nessuna persona, ma semplicemente un continuo fluire di energia in
azione che è come il fluire continuo di un fiume o il continuo bruciare di una
fiamma. _ questa continuità che crea nella mente un falso senso di identità. Io
non sono adesso la stessa persona che ero un anno fa, e neanche la stessa
persona che ero un momento fa, non più di quanto l’acqua che scorre laggiù sia
la stessa acqua che scorreva pochi secondi fa; è il persistere del flusso nello
stesso canale che preserva la falsa apparenza di identità. Ovviamente quindi
non c’è nessuna anima che si reincarni, ma soltanto un karma che persiste fluendo
continuamente in un canale apparentemente ininterrotto. _ il Karma che si
reincarna; il karma crea la forma di una mente che cambia costantemente e i
corpi fisici, che sono, possiamo presumere, il risultato di quel cangiante
composto di idee e sensazioni che chiamiamo me stesso. L’identico
"Io" non c’è, non c’è mai stato né mai ci sarà. Praticamente, fino a
quando persiste l’errore della personalità, questo non fa molta differenza e io
posso dire, nel linguaggio dell’ignoranza, che sono rinato in un nuovo corpo;
praticamente devo procedere sulla base di quell’errore. Ma c’è un punto
importante che si è compreso: che è tutto un errore e un errore che può
cessare; il composto si può disaggregare per sempre senza riformarsi di nuovo,
la fiamma può spegnersi, il canale che si denominava fiume può essere
distrutto. Allora c’è il non–essere, c’è la cessazione, la liberazione
dell’errore da se stesso.
Il Vedantino arriva ad
una conclusione diversa: egli ammette un’identità, un sé, una persistente
realtà immutabile – ma che è diversa dalla mia personalità, diversa dal
composto che chiamo me stesso. Nella Katha Upanishad il problema è posto in
modo molto istruttivo, quasi opposto all’argomento che stiamo trattando.
Nachiketas, mandato da suo padre nel mondo della Morte, così chiede a Yama, il
Signore di quel mondo: Dell’uomo che è andato avanti, che è trapassato, alcuni
dicono che egli è, altri che "egli non è"; chi ha ragione? qual è la
verità del grande passaggio? Questa è la forma della domanda e a prima vista
sembra che sollevi semplicemente il problema dell’immortalità nel senso europeo
della parola, il sopravvivere dell’identica personalità. Ma questo non è quello
che Nachiketas chiede. Egli ha già preso, come il secondo dei tre doni che gli
sono stati offerti da Yama, la conoscenza della Fiamma sacra per mezzo della
quale l’uomo vince la fame e la sete, si lascia dietro il dolore e la paura e
dimora nel paradiso eternamente felice.
L’immortalità in quel
senso egli la ritiene già garantita, poiché già sta in quel mondo ulteriore. La
conoscenza che egli chiede comporta il problema più profondo, più sottile, del
quale Yama afferma che persino gli dei ne discutono da molto, e che non è
facile da conoscere, perché la sua legge è sottile; sopravvive qualcosa che
sembra essere la stessa persona, che discende nell’inferno, che sale al cielo,
che ritorna sulla terra in un nuovo corpo, ma è davvero la stessa persona che
sopravvive in questo modo ? Possiamo dire davvero dell’uomo "Egli è
ancora", o dobbiamo piuttosto dire "Egli non è più" ? Anche Yama
nelle sue risposte non parla della sopravvivenza alla morte, e concede soltanto
uno o due versi alla nuda descrizione della costante rinascita che tutti i
pensatori seri ammettevano come una verità universalmente riconosciuta.
Ciò di cui parla è il
Sé, l’Uomo reale, il Signore di tutte queste apparenze cangianti; senza la
conoscenza di quel Sé la sopravvivenza della personalità non è una vita immortale ma un costante
passare dalla morte alla morte; soltanto colui che va oltre la personalità sino
alla vera Persona diventa immortale. Fino ad allora sembra che l’uomo nasca di
nuovo e ancora per mezzo della forza della sua conoscenza e delle opere, il
nome succede al nome, la forma alla forma, ma non c’è immortalità.
Questa dunque è la
domanda posta, alla quale Buddisti e Vedantini rispondono in modo così
differente. C’è un costante riformarsi di personalità in nuovi corpi, ma questa
personalità è una creazione mutevole di una forza al lavoro che si spinge in
avanti nel tempo e non è mai, neppure per un momento, la stessa; e il senso
dell’ego, che fa sì che noi ci attacchiamo alla vita del corpo, e crediamo
facilmente che questa sia la stessa idea e forma, che questo John Robinson,
rinato come Sidi Hossain, è una creazione della mente.
Achille non è rinato
come Alessandro, ma il flusso di forza nelle sue opere che ha creato la
costante mutevolezza del corpo e della mente di Achille ha continuato a fluire
e ha creato la costante mutevolezza del corpo e della mente di Alessandro.
Tuttavia, dice l’antico Vedanta, c’è qualcosa al di là di questa forza in
azione, il Maestro di essa, uno che fa sì che essa crei per lui nuovi nomi e
forme: questo è il Sé, il Purusha, l’Uomo, la Vera Persona. Il senso dell’ego è soltanto la sua immagine
distorta riflessa nel fluire continuo della mente corporea.
Allora è il Sé che si
incarna e si reincarna ? Ma il Sé è imperituro, immutabile, non nasce e non
muore. Il Sé non è nato e non esiste nel corpo; piuttosto è il corpo che è nato
ed esiste nel Sé. Perché il Sé è uno dappertutto – in tutti i corpi, noi
diciamo, ma in realtà non è confinato e parcellizzato in corpi diversi, tranne
che, come l’etere che tutto costituisce, sembra prendere forma in oggetti
diversi e in un certo senso in essi si ritrova. Piuttosto, tutti questi corpi
sono nel Sé, ma anche questo è una immaginazione della concezione spaziale, e
in definitiva questi copri sono soltanto simboli e figure di se stesso, creati
da esso nella sua propria Coscienza. Persino ciò che noi chiamiamo l’anima individuale
è più grande del suo corpo e non meno, più sottile di esso e di conseguenza non
limitata dalla sua grossolanità. Al momento della disincarnazione non abbandona
la sua forma, ma se ne spoglia, così che una grande Anima che fa la sua
dipartita può dire di questa disincarnazione, con una frase vigorosa, "ho
sputato via il corpo". Che cosa è dunque ciò che percepiamo come
l’abitante della struttura fisica ? Che cosa è ciò che l’anima si porta via dal
corpo quando getta via questo involucro fisico che avvolgeva non essa, ma una
parte dei suoi componenti? Che cos’è quello la cui dipartita produce questo
strappo violento, questa lotta veloce e il dolore della partenza, creando
questo senso di violento divorzio ? La risposta non ci aiuta molto. _L’involucro
sottile o psichico che è legato al fisico dalle corde del cuore, dalle corde
della energia di vita, dall’energia nervosa che è stata intessuta in ogni fibra
fisica. _ Questo che il Signore del corpo si porta via e lo strappo violento o
il rapido o lento allentarsi delle corde della vita, la fuoruscita della forza
di connessione, è questo che costituisce il dolore della disincarnazione e la
sua difficoltà.
Cambiamo dunque la
forma della domanda e chiediamoci piuttosto cos’è che riflette e accetta la
personalità mutevole, poiché il Sé è immutabile ? Noi abbiamo infatti un Sé
immutabile, una Persona reale, Signore di questa personalità che cambia sempre,
che, di nuovo, prende corpi che cambiano sempre; ma il Sé reale si conosce
sempre al di sopra del mutamento, lo osserva e ne gioisce, ma non è coinvolto
in esso. Per mezzo di che cosa esso gode dei cambiamenti e li avverte come
suoi, anche se sa di non esserne toccato? La mente e il senso dell’ego sono
soltanto strumenti inferiori, deve esserci quindi una qualche più essenziale
forma di se stesso che l’Uomo Reale mette avanti, mette di fronte a sé, per
così dire, e dietro ai cambiamenti, per sostenerli e rispecchiarli senza essere
in realtà cambiato da essi. Questa forma più essenziale è, o sembra essere
nell’uomo, l’essere mentale o la persona mentale di cui parlano le Upanishad
come del leader mentale della vita e del corpo (manomayah prana–sharira–neta).
_ questo che sostiene il senso dell’ego come una funzione nella mente e ci
permette di avere la ferma percezione di una identità continua nel Tempo come
opposta all’identità senza tempo del Sé.
La personalità che
cambia non è questa persona mentale, è un insieme di materiali diversi della
Natura, una formazione di Prakrti, e non è per niente il Purusha. Ed è un
composto molto complesso, con molti strati: c’è uno strato fisico, uno strato
nervoso, uno strato mentale, persino uno strato finale di personalità
sopra–mentale; e all’interno di questi stessi strati ci sono strati dentro
ognuno di essi. L’analisi degli strati successivi della terra è una faccenda
semplice. Se paragonata all’analisi di questa creazione meravigliosa che
chiamiamo la personalità. L’essere mentale, nel riprendere la vita corporea,
forma una nuova personalità per la sua nuova esistenza terrestre; prende dalla
materia comune materiale inorganico e organico, materiale mentale del mondo
fisico e durante la vita terrestre assorbe costantemente materiale fresco,
getta via ciò che è usato, cambiando i suoi tessuti fisici, nervosi e mentali.
Ma tutto questo è
lavorio di superficie; dietro di esso c’è il retroterra dell’esperienza
passata, che viene tenuto dietro la memoria fisica, affinché la consapevolezza
superficiale non sia turbata e non ci siano interferenze con il fardello
consapevole del passato, ma ci si possa concentrare sul lavoro attuale.
Tuttavia questo retroterra di passata esperienza è il nocciolo della
personalità e più di questo. _ Il nostro vero tesoro, al quale possiamo far
ricorso anche a prescindere dal nostro superficiale rapporto con ciò che ci
circonda. Questo rapporto si aggiunge alle nostre conquiste, modifica il
retroterra in vista di un’esperienza successiva.
Inoltre tutto questo è
di nuovo superficie, è soltanto una piccola parte di noi stessi che vive e
agisce nelle energie della nostra esistenza terrena. Come dietro l’universo
fisico ci sono dei mondi dei quali il nostro è soltanto un risultato ultimo,
così anche dentro di noi ci sono mondi della nostra autoesistenza che proietta
questa forma esterna del nostro essere. Il subcosciente, il sovracosciente sono
oceani dai quali e verso i quali scorre questo fiume. Di conseguenza parlare di
noi stessi come di un’anima che si reincarna è dare un’apparenza troppo
semplice al prodigio della nostra esistenza; è un tradurre in una formula
troppo grossolana la magia del Mago supremo. Non c’è una definita entità
psichica che prenda un involucro di carne, c’è una metempsicosi, un riprendere
l’anima, un rinascere di una nuova personalità psichica così come c’è la
nascita di un nuovo corpo. E dietro di questo c’è la Persona , l’entità che non
cambia, il Signore che manipola questo materiale complesso, l’Artefice di
questo meraviglioso artificio.
Questo è il punto di
partenza dal quale dobbiamo procedere nel considerare il problema della rinascita.
Considerarci come questa o quell’altra personalità che prende un muovo
involucro di carne è restare impigliati nell’ignoranza, confermare l’errore
della mente materiale e dei sensi. Il corpo è un’opportunità, la personalità è
una formazione costante del cui sviluppo l’azione e l’esperienza costituiscono
gli strumenti, ma il Sé tramite il volere del quale per la delizia del quale
tutto questo avviene è diverso dal corpo, diverso dall’azione e
dall’esperienza, diverso dalla personalità che essi sviluppano. Ignorarlo è
ignorare l’intero segreto del nostro essere.
(Traduzione di M.
Furru e G. Elia)
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